Novità introdotte dal decreto Fiscalità Internazionale

Art. 1 – Residenza delle persone fisiche:
Recependo le indicazioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) della Legge 14 agosto 2023 n. 111 (“Legge Delega”), l’art. 1 del D.lgs. 27 dicembre 2023 n. 209 (“Decreto Fiscalità Internazionale”) ha sostituito il comma 2 dell’art. 2 del D.P.R. 22 dicembre 1986 (“TUIR”)

da: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi
del codice civile.”

in: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”
Il così novellato art. 2 individua dunque 4 alternativi criteri di collegamento, 3 qualificabili come presunzioni legali assolute ed uno, quello relativo all’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, qualificabile come presunzione legale relativa.
Più nel dettaglio, ai sensi della novellata disposizione si considerano residenti coloro che, per la maggior parte del periodo d’imposta:
(i) abbiano avuto in Italia la propria residenza ai sensi dell’art. 43 del codice civile e, pertanto, la loro dimora abituale;
(ii) abbiano avuto in Italia il proprio domicilio che, coerentemente con la prassi internazionale e con le convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall’Italia, è ora normativamente identificato nel “luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari del contribuente”;
(iii) abbiano avuto in Italia la loro presenza fisica;
(iv) siano risultati inscritti nelle anagrafi della popolazione residente.
Differentemente rispetto a quanto possa dirsi in relazione ai criteri di collegamento di cui ai punti (i), (ii) e (iii), criteri per l’appunto qualificantisi come presunzioni assolute di residenza fiscale in Italia, quello di cui al punto (iv) rappresenta una presunzione legale relativa , disattivabile dimostrando che, nonostante l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione
residente, il soggetto non possa comunque considerarsi residente in Italia in quanto non sia riscontrabile in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, la sua residenza, il suo domicilio o la sua presenza fisica.
Come anticipato, affinché un soggetto possa considerarsi residente, è necessario che uno dei 4 criteri di collegamento sopramenzionati risulti sussistente per la maggior parte del periodo d’imposta. A tal fine, come anche chiarito dalla Relazione illustrativa, è necessario tener conto anche dei periodi non consecutivi, nonché delle frazioni di giorno.

Art. 2 – Residenza delle società e degli enti:
Recependo medesime indicazioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) della Legge Delega, l’art. 1 del Decreto Fiscalità Internazionale ha riformulato il comma 3 dell’art. 73 del TUIR eliminando i riferimenti al criterio dell’oggetto principale, che ha dato luogo a controversie e rischi di doppia imposizione, ed al criterio della sede dell’amministrazione:

da: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché’ vincoli di destinazione sugli stessi.”

in: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio si considerano residenti se istituiti in Italia. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.”

Per effetto delle modifiche apportate, il nuovo art. 73 individua ora i 3 seguenti ed alternativi criteri di collegamento per l’accertamento della residenza delle società e degli enti:
(i) criterio della sede legale;
(ii) criterio della sede di direzione effettiva;
(iii) criterio della gestione ordinaria in via principale.
Come precisato dalla relazione illustrativa, se con il criterio della sede legale si è inteso dare continuità normativa con il testo vigente anteriormente alla riforma, con l’eliminazione dei riferimenti ai criteri della sede legale e dell’amministrazione e con l’introduzione dei criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale si è, rispettivamente, da un lato inteso superare le difficoltà interpretative agli stessi correlabili, ampliando e rafforzando la certezza del diritto e, dall’altro lato individuare dei criteri di radicamento della residenza allineati gli aspetti di natura fattuale.
In relazione al criterio della sede di direzione effettiva, come chiarito dalla stessa norma, per essa si intende la “continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”. Al riguardo, come osservato dalla Relazione illustrativa, il riferimento alla direzione ed alla sua effettività è in ogni caso inconciliabile con l’interpretazione di tale requisito volta a farlo coincidere in toto con l’elemento volitivo dei soci. Nella nozione di “direzione effettiva” rientrano dunque le sole decisioni di carattere gestorio, mentre ve ne restano escluse quelle a contenuto non gestorio, ancorché assunte dai soci, nonché le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte dei medesimi.
In relazione, invece, al criterio della gestione ordinaria in via principale, il suo inserimento consente di stabilire il collegamento personale all’imposizione nei casi in cui, pur essendovi un effettivo radicamento della società o dell’ente nel territorio dello Stato, residuano delle incertezze interpretative circa la sede di direzione effettiva. In questo senso si è attribuita rilevanza al luogo in cui si svolgono gli atti relativi alla gestione ordinaria, ovvero quella inerente al normale funzionamento della società o dell’ente nel suo complesso, purché, evidentemente, come anche evidenziato dalla norma, tale gestione ordinaria avvenga in via principale nel territorio dello Stato, così da evitare un eccessivo allargamento del collegamento personale all’imposizione quando solo parte di tali attività si svolge nel territorio dello Stato e quindi può, al più, sussistere una stabile organizzazione del soggetto non residente.
Funzionalmente all’introduzione dei nuovi criteri di collegamento della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale, si è altresì proceduto alla modifica del comma 5-bis dell’art. 73 del TUIR – concernente la presunzione di residenza nel territorio dello Stato di società ed enti controllati od amministrati da soggetti residenti nel territorio dello Stato (c.d. esterovestizione) – con la rimozione del riferimento alla sede dell’amministrazione ed ancorando la residenza del soggetto esterovestito (che detenga partecipazioni di controllo in soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73) al ricorrere delle due seguenti condizioni, che restano immutate:
(i) è controllato, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
(ii) è amministrato da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in
prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Art. 3 – Semplificazione della disciplina delle società estere controllate:
Recependo medesime indicazioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. f) della Legge Delega, l’art. 1 del Decreto Fiscalità Internazionale ha riformulato l’art. 167, comma 4, lett. a) del TUIR da:
“La disciplina del presente articolo si applica se i soggetti controllati non residenti integrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono indicati i criteri per effettuare, con modalità semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile”
in
“La disciplina del presente articolo si applica se i soggetti controllati non residenti integrano congiuntamente le seguenti condizioni:
a) sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore al 15 per cento. La tassazione effettiva dei soggetti controllati non residenti è pari al rapporto tra la somma delle imposte correnti dovute e delle imposte anticipate e differite iscritte nel proprio bilancio d’esercizio e l’utile ante imposte dell’esercizio risultante dal predetto bilancio. A tal fine, il bilancio d’esercizio dei soggetti controllati non residenti deve essere oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione dei soggetti controllati non residenti, i cui esiti sono utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato. Se la condizione di cui al periodo precedente non è verificata (ndr. bilancio non certificato) o la tassazione effettiva è inferiore al 15 per cento, i soggetti controllanti devono verificare che i soggetti controllati non residenti sono assoggettati ad una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia, determinata secondo le modalità stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.”
La novellata lett. a) del comma 4 dell’art. 167 prevede dunque che l’accertamento della condizione relativa alla tassazione effettiva inferiore al 15% venga effettuato secondo le seguenti modalità:

(i) se il soggetto controllato estero non dispone di un bilancio sottoposto a revisione e certificazione ed a condizione che gli esiti di tale giudizio vengano utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato, non è possibile procedere all’ETR test semplificato, ma si dovrà procedere all’ETR test ordinario come da Provvedimento Direttoriale;
(ii) se il soggetto controllato estero dispone di un bilancio sottoposto a revisione e certificazione ed a condizione che gli esiti di tale giudizio vengano utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato, è possibile procedere all’ETR test semplificato come segue:

schermata-2024-02-01-alle-10-31-44

A questo punto:
a) se ETR < 15% -> procedere all’ETR test ordinario come da Provvedimento Direttoriale; b) se ETR >= 15% -> società non CFC.
Come chiarito dalla Relazione illustrativa, l’inclusione delle imposte anticipate e di quelle differite consente di superare la disposizione che prevede l’irrilevanza delle variazioni temporanee della base imponibile ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera.
In aggiunta alla predetta modifica, è stata altresì introdotta una disposizione di coordinamento tra le disposizioni di cui all’art. 167 del TUIR e la disciplina della Global Minimum Tax di cui alla Direttiva (UE) 2022/2523, come recepita nel Titolo II del Decreto Fiscalità Internazionale.
In particolare, ai sensi del neo-introdotto comma 4-bis: “[a]i fini del calcolo di cui al comma 4, lettera a), rileva anche l’imposta minima nazionale equivalente, definita nell’allegato A del decreto di recepimento della direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 15 dicembre 2022, dovuta dal soggetto controllato non residente. Ai fini del precedente periodo, l’imposta minima nazionale equivalente dovuta nel Paese di localizzazione del soggetto controllato non residente, individuato ai sensi dell’articolo 12 del decreto di recepimento della direttiva (UE) 2022/2523 del Consiglio, del 15 dicembre 2022, rileva in misura corrispondente all’imposta minima nazionale equivalente moltiplicata per il rapporto tra il profitto eccedente relativo al soggetto controllato non residente e la somma di tutti i profitti eccedenti relativi alle imprese ed entità del gruppo soggette all’imposta minima nazionale equivalente calcolata in maniera unitaria con il soggetto controllato non residente.”

La disposizione in argomento prevede che, ai fini dell’accertamento della condizione relativa alla tassazione effettiva estera debba essere altresì considerata anche l’imposta minima nazionale equivalente eventualmente assolta dalla società controllata estera nel suo Stato di residenza. Tuttavia, considerando che l’imposta minima nazionale equivalente si applica su base giurisdizionale, per tutte le società controllate localizzate nella medesima giurisdizione, ai fini dell’allocazione della quota dell’imposta alla singola società controllata estera, si prevede che l’imposta minima nazionale assolta rilevi in misura corrispondente all’imposta minima nazionale equivalente moltiplicata per il rapporto tra il profitto eccedente relativo al soggetto controllato non residente e la somma di tutti i profitti eccedenti relativi alle imprese ed entità del gruppo soggette all’imposta minima nazionale equivalente calcolata in maniera unitaria con il soggetto controllato non residente.

Determinazione imposta minima nazionale equivalente rilevante (IMNER):schermata-2024-02-01-alle-10-30-06
Ulteriormente, lo stesso Art. 3 del Decreto Fiscalità Internazionale ha introdotto anche il nuovo comma 4-ter, ai sensi del quale: “In alternativa a quanto previsto al comma 4, lettera a), i soggetti controllanti di cui al comma 1, con riferimento ai soggetti controllati non residenti di cui ai commi 2 e 3, possono corrispondere, nel rispetto degli articoli 7 e 8 della direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016, un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 15 per cento dell’utile contabile netto dell’esercizio calcolato senza tenere in considerazione le imposte che hanno concorso a determinare detto valore, la svalutazione di attivi e gli accantonamenti a fondi rischi. Permanendo il requisito del controllo, l’opzione per l’imposta sostitutiva ha durata per tre esercizi del soggetto controllante ed è irrevocabile. Al termine del triennio l’opzione si intende tacitamente rinnovata per il successivo triennio a meno che non è revocata, secondo le modalità e i termini previsti per la comunicazione dell’opzione. La disposizione di cui al periodo precedente si applica al termine di ciascun triennio. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di comunicazione dell’esercizio e revoca dell’opzione. Nel caso di esercizio dell’opzione, essa è effettuata per tutti i soggetti controllati non residenti come definiti ai commi 2 e 3 e che integrano le condizioni di cui al comma 4, lettera b).” Come chiarito dal successivo e neo-introdotto comma 4-quater, “[l]e disposizioni di cui al comma 4-ter si applicano a condizione che i bilanci di esercizio sono oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione dei soggetti controllati non residenti, i cui esiti sono utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato.”
La disposizione di cui al comma 4ter rappresenta evidentemente un tentativo di semplificazione della determinazione della tassazione effettiva del soggetto controllato estero, sia dal lato della base imponibile, sia dal lato dell’aliquota impositiva.

Come chiarito dalla relazione illustrativa, nella prospettiva della base imponibile, al fine di evitare le significative complessità di calcoli che spesso si risolvono in un mero spostamento temporale del carico impositivo tra il soggetto controllante residente e la società controllata o la stabile organizzazione non residente dovuta alla diversità della locale disciplina fiscale applicabile, si fa riferimento al risultato economico di bilancio ante imposte della società controllata ovvero della stabile organizzazione (previa sua autonoma determinazione rispetto alla casa madre); tale risultato contabile è quello risultante a seguito dell’applicazione dei principi contabili utilizzati ai fini del bilancio consolidato, senza tuttavia considerare le rettifiche di consolidamento (onde evitare la elisione di componenti positivi e negativi di reddito infragruppo) e le eventuali svalutazioni dei valori degli attivi (al fine di evitare eventuali manovre volte ad artatamente ridurre la base imponibile). L’utilizzo di valori contabili e non fiscali non si presta a particolari manipolazioni della base imponibile atteso che gli unici costi non monetari di cui è consentita la deduzione sono gli ammortamenti (svalutazioni e accantonamenti a fondi rischi che potrebbero ridurre la base imponibile non sono infatti deducibili) ed eventuali trasferimenti di costi a favore di altre entità del gruppo non destano, in linea di principio, criticità perché se sono entità a fiscalità privilegiata esse registrano un corrispondente componente positivo di reddito soggetto alle medesime regole a cui è soggetta la entità che ha registrato il corrispondente costo e se invece sono entità a fiscalità ordinaria per definizione il rischio non sussiste.
Nella prospettiva dell’aliquota impositiva, invece, si fa riferimento all’aliquota del 15% in coerenza con il livello minimo di imposizione previsto dalla global minimum tax. L’importo della imposta sostitutiva, derivante da un regime opzionale, non tiene conto di eventuali imposte sui redditi pagate all’estero dal soggetto non residente.
La disposizione è una facoltà concessa al soggetto passivo controllante, a condizione che i bilanci dei soggetti controllati non residenti siano soggetti a revisione e certificazione. Il soggetto controllate può dunque anche decidere di non avvalersene e di applicare le altre disposizioni dell’articolo 167 del TUIR. Nondimeno, se esercitata, l’opzione per l’imposta sostitutiva ha durata per tre esercizi del soggetto controllante, è irrevocabile ed opera con riguardo a tutte le società controllate estere suscettibili di applicazione della disciplina CFC.

Art. 6 – Trasferimento in Italia di attività economiche:
Ai sensi del neo-introdotto art. 6 del Decreto Fiscalità Internazionale:

“1. Al fine di promuovere lo svolgimento nel territorio dello Stato italiano di attività economiche, i redditi derivanti da attività di impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e il valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per il 50 per cento del relativo ammontare nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei cinque periodi di imposta successivi.
2. Non sono incluse tra le attività di cui al comma 1 quelle esercitate nel territorio dello Stato nei ventiquattro mesi antecedenti il loro trasferimento.
3. Ai fini della determinazione dei redditi di cui al comma 1, il contribuente è tenuto a mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile.
4. L’agevolazione di cui al comma 1 viene meno se nei cinque periodi d’imposta, ovvero dieci se trattasi di grandi imprese, individuate ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, successivi alla scadenza del regime di agevolazione il beneficiario trasferisce fuori del territorio dello Stato, anche parzialmente, le attività oggetto del precedente trasferimento e l’Amministrazione finanziaria recupera nei suoi confronti, con gli interessi, le imposte non pagate durante il regime agevolativo dal quale è decaduto.
5. L’efficacia delle disposizioni del presente articolo è subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’autorizzazione della Commissione europea.”

Nell’ottica di promuovere lo svolgimento in Italia di attività economiche, l’art. 6 del Decreto Fiscalità Internazionale ha introdotto un incentivo fiscale consistente nella non concorrenza alla formazione della base IRES e del valore della produzione IRAP del 50% del reddito imponibile derivante dalle attività d’impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata trasferite in Italia e precedentemente svolte in uno Stato extra-UE/SEE. Nel novero delle attività eleggibili all’agevolazione rientrano anche le attività d’impresa esercitate da società appartenenti al medesimo gruppo.
L’agevolazione ha una durata di 6 o 11 periodi d’imposta (compreso quello in cui interviene il trasferimento), a seconda che l’impresa trasferita si qualifichi o meno come “grande impresa” ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE (vedi implicazioni nuova Direttiva).
È previsto però il recupero del beneficio ad opera dell’Amministrazione finanziaria, maggiorato dei relativi interessi, nel caso in cui l’attività impatriata venga successivamente distolta dal circuito impositivo italiano attraverso il suo trasferimento al di fuori dai confini domestici nel periodo di sorveglianza, ai fini della commentata disposizione individuato, a seconda che si tratti o meno di una grande impresa, rispettivamente nel periodo intercorrente tra il primo esercizio di vigenza del regime ed il 10° o 5° periodo d’imposta successivo al termine di vigenza del regime di agevolazione.
In ottica antielusiva, è esclusa l’applicabilità del regime agevolativo a quelle attività che siano risultate già esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento in Italia.
Al fine di beneficiare dell’agevolazione, il contribuente deve mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile.
L’efficacia della misura è sospesa all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, TFUE (clausola di stand still).

Investimenti in startup e PMI innovative, detrazione fiscale del 50%

Detrazione al 50% solo per le persone fisiche. Limite di 100mila euro per le startup e di 300mila per le PMI per periodo d’imposta. E poi il regime de minimis, che depotenzia l’incentivo agli investimenti. Ecco tutte le novità del decreto attuativo atteso dal maggio 2020, con la procedura per ottenere le agevolazioni.

Il Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020 n. 34) all’art. 38 ha previsto un aumento delle detrazioni fiscali per chi investe in startup e PMI innovative. L’obiettivo, come dichiarato nella relazione alla norma, è sostenere tutto il comparto dell’innovazione agevolandone gli investimenti.

In particolare nel decreto sono state previste agevolazioni per investimenti effettuati da persone fisiche o da persone giuridiche, sia che l’investimento venga effettuato direttamente e senza intermediazione, sia che esso sia effettuato tramite OICR (ovvero organismi di investimento collettivo del risparmio).

Ma il Decreto Rilancio è rimasto privo sino ad ora del successivo Decreto attuativo, generando non pochi problemi, non soltanto interpretativi – alcuni di essi sciolti da successive Circolari del Mise – ma anche di procedura per l’applicabilità di tali agevolazioni. Si è infatti tanto discusso circa la possibilità di applicazione di tale agevolazione in assenza di disposizioni di attuazione.

È stato poi successivamente detto che il Decreto Rilancio potesse trovare applicazione dalla data della sua entrata in vigore e che, quindi, le agevolazioni fossero applicabili anche senza disposizioni di attuazione.

Tutte le agevolazioni per chi investe in startup e PMI innovative

Finalmente il 15 febbraio 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto contenente le “modalità di attuazione degli incentivi fiscali – in regime de minimis – all’investimento in startup e PMI innovative”. Era atteso da maggio 2020. Esso si compone di 9 articoli e chiarisce le regole e la procedura per fruire del beneficio fiscale.

Innanzitutto il decreto attuativo limita l’agevolazione alle sole persone fisiche, mentre il D.L. Rilancio includeva questa possibilità anche per le società di capitali. Esso delinea il perimetro dell’investimento agevolato e definisce che l’importo massimo detraibile in una start-up innovativa rispetto al quale il soggetto investitore può accedere all’agevolazione fiscale, non possa eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di euro 100.000. Mentre l’investimento massimo in una PMI innovative, rispetto al quale il soggetto investitore può accedere all’agevolazione fiscale, non possa eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di euro 300.000. In caso di investimento superiore a tale importo, sulla parte di investimento che eccede tale limite, il soggetto investitore può detrarre dall’imposta lorda il 30% di questa eccedenza.

L’investimento agevolato deve essere mantenuto per almeno tre anni, pena la decadenza dal beneficio.

L’agevolazione fiscale si applica ai conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle startup innovative e delle PMI innovative. Si applica per investimenti effettuati direttamente nonché agli investimenti effettuati tramite organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR). Il decreto attuativo esclude invece dall’agevolazione tutte le altre le altre società di investimento, che, invece, erano state inizialmente contemplate nel D.L. Rilancio.

Il regime de minimis: che cos’è e come funziona

Il decreto attuativo stabilisce che l’agevolazione fiscale in esame è concessa per investimenti agevolati ai sensi del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013 sugli aiuti «de minimis».

Essa spetta quindi fino ad un ammontare massimo di aiuti concessi ad una medesima startup innovativa o PMI innovativa a titolo «de minimis» non superiore a 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari secondo quanto stabilito dall’art. 3, comma 2 del regolamento citato.

Il soggetto investitore in startup innovative può quindi, in ciascun periodo d’imposta, detrarre dall’imposta lorda un importo pari al 50% dell’investimento effettuato in startup innovative e fino ad un massimo di 100.000 euro, per un ammontare di detrazione non superiore a 50.000 euro.

Il soggetto investitore in PMI può, invece, per ciascun periodo d’imposta, detrarre dall’imposta lorda un importo pari al 50% dell’investimento effettuato fino ad un massimo di 300.000 euro, per un ammontare di detrazione non superiore a 150.000 euro. In caso di investimento di ammontare superiore a 300.000 euro, sulla parte eccedente tale limite il soggetto investitore, in ciascun periodo d’imposta, potrà detrarre dall’imposta lorda un importo pari al 30% di detta eccedenza. Sempre però nei limiti fissati dal regime de minimis.

La scelta di inserire questo limite è probabilmente frutto dell’esperienza negativa della (tentata) modifica normativa datata 2019, con la quale il legislatore aveva provato a innalzare al 40% il beneficio della detrazione fiscale sugli investimenti in startup e PMI innovative; modifica di fatto mai entrata in vigore, a causa della mancata autorizzazione della Commissione Europea, come confermato anche dall’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 410 dell’11 ottobre 2019.

In questi termini, la prescrizione del rispetto del regime de minimis consentirebbe evidentemente di tenere la nuova modifica normativa, qui in esame, al riparo da censure europee poiché risulta compliant al dettato dell’Unione.

Questa disposizione, tuttavia, sta generando qualche perplessità perché limiterebbe di molto l’efficacia stessa dell’agevolazione sull’ecosistema innovazione. In altre parole, essendoci il tetto massimo di 200.000 euro posto in capo alla startup nell’arco di tre esercizi finanziari, non tutti gli investitori potranno godere dell’agevolazione, ma solo coloro che effettueranno l’investimento entro tale limite. Superato questo limite, l’investimento non potrà essere agevolato.

Peraltro, la scelta del legislatore di far rientrare l’agevolazione in esame nei limiti degli aiuti di Stato in regime de minimis, se sembra ormai più che pacifica per le imprese, desta invece perplessità in capo alle startup ed alle PMI innovative, per le quali l’agevolazione è solo indiretta, essendo la stessa attribuita (sotto forma di detrazione fiscale) agli investitori, i quali, peraltro, potrebbero teoricamente essere anche solo persone fisiche.

Ricordiamo che il cosiddetto “regime de minimis” è stato introdotto dall’Unione Europea in deroga al principio generale per il quale gli Stati non possano aiutare le imprese con sovvenzioni economiche proprio per evitare di falsare il mercato e la libera concorrenza. Esso consente agli Stati Membri di supportare la crescita delle aziende con piccoli “aiuti di Stato” che non vadano ad incidere sulla regolarità del mercato. Ed è per questo che il limite massimo di fondi/aiuti consentiti in regime de minimis è fissato in 200.000 euro nell’arco di tre anni.

Se però, la ratio del regime de minimis, è vera e pacifica per le aziende in generale, per l’ecosistema dell’innovazione rischia di rappresentare un ennesimo freno a mano. Infatti, da un lato si cerca di smuovere capitali di investimento verso le imprese innovative, riconoscendo in esse una enorme opportunità di sviluppo e di crescita per il nostro Paese – dall’altro lato questo processo si infrange  e si blocca con la restrizione di questo regime.

L’effetto concreto pertanto, potrebbe essere quello di convogliare verso l’innovazione somme di investimento ancora una volta troppo basse, non idonee ad accelerare questo ecosistema come si dovrebbe e, forse, ancora una volta non idonee a farci superare quel gap atavico che ci portiamo dietro da anni e che ci distanzia da altri Paese con ecosistemi molto più floridi.

Ci si augura almeno che il limite in questione venga calcolato non sulla intera quota agevolata, vale a dire il 50% dell’investimento, ma solo per quella eccedente la quota ordinaria del 30%; calcolato dunque solo sull’eccedenza del 20%. E sarebbe auspicabile su questo aspetto un chiarimento del Ministero.

Ad ogni modo, il decreto attuativo stabilisce che ai fini della verifica del rispetto dei  massimali si applica la definizione di «impresa unica» prevista dall’art. 2, comma 2 del regolamento (UE) 1407/2013 del 18 dicembre 2013.

Le agevolazioni sopra indicate non si applicano:

  1. nel caso di investimenti effettuati tramite organismi di investimento collettivo del risparmio e società, direttamente o indirettamente, a partecipazione pubblica;
  2. nel caso di investimenti in start-up innovative o PMI innovative che operano nei settori esclusi ai sensi dell’art. 1, comma 1 del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013.

Da quale data si determina il periodo di imposta per l’agevolazione

Il decreto attuativo stabilisce che i conferimenti rilevano nel periodo d’imposta in corso alla data del deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese da parte della startup innovativa o della PMI innovativa dell’atto costitutivo o della deliberazione di aumento del capitale sociale ovvero, se successiva, alla data del deposito dell’attestazione che l’aumento del capitale è stato eseguito ai sensi degli articoli 2444 e 2481-bis del codice civile. Gli investimenti in quote effettuati degli organismi di investimento collettivo del risparmio rilevano alla data di sottoscrizione delle quote. I conferimenti derivanti dalla conversione di obbligazioni convertibili rilevano, invece, nel periodo d’imposta in corso alla data in cui ha effetto la conversione.

La procedura: come ottenere l’agevolazione

Finalmente il decreto attuativo indica anche dettagliatamente la procedura da seguire per ottenere l’agevolazione e istituisce la piattaforma informatica «Incentivi fiscali in regime «de minimis» per investimenti in startup e PMI innovative», tramite la quale si potranno avanzare le istanze on line.

In particolare il decreto attuativo indica che prima della effettuazione dell’investimento  da parte del soggetto investitore, l’impresa beneficiaria dovrà presentare apposita istanza tramite la suddetta piattaforma informatica.

L’istanza resa nella forma di dichiarazione sostitutiva dovrà contenere:
a) gli elementi identificativi dell’impresa beneficiaria, del soggetto investitore e, in caso di investimento indiretto, dell’organismo di investimento collettivo del risparmio;
b) l’ammontare dell’investimento che il soggetto investitore intende effettuare;
c) l’ammontare della detrazione che il soggetto investitore intende richiedere.

La Direzione Generale per l’innovazione e le piccole e medie imprese del Ministero dello Sviluppo Economico verificherà tramite il registro nazionale degli aiuti il rispetto da parte dell’impresa beneficiaria del massimale «de minimis», notificando gli esiti dell’accertamento sia all’impresa beneficiaria che al soggetto investitore. L’esito negativo di tale accertamento è ostativo alla finalizzazione della presentazione dell’istanza ed alla conseguente fruizione dell’incentivo.

A cura del Ministero dello Sviluppo Economico sarà inviato periodicamente all’Agenzia delle Entrate l’elenco delle imprese beneficiarie che avranno presentato istanza e degli investitori che intendono fruire della detrazione fiscale, con relativo importo.

L’impresa beneficiaria sarà tenuta a comunicare tempestivamente ogni aggiornamento sull’investimento tramite la piattaforma ai fini della rideterminazione dell’ammontare degli aiuti concessi a titolo di «de  minimis», pena la non fruibilità dell’agevolazione.

L’agevolazione fiscale sarà indicata dal soggetto investitore nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui il soggetto stesso avrà effettuato l’investimento nell’impresa beneficiaria.

Gli investitori o gli organismi di investimento dovranno ricevere e conservare una dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa beneficiaria, resa secondo il modello allegato al decreto attuativo, che sarà rilasciata entro trenta giorni dal conferimento e che attesti l’importo dell’investimento, il codice COR rilasciato dal registro nazionale degli aiuti e l’importo della detrazione fruibile.

Qualora l’esercizio delle startup innovative, PMI innovative o degli organismi di investimento collettivo del risparmio non coincida con il periodo di imposta dell’investitore e l’investitore riceva la certificazione nel periodo di imposta successivo a quello in cui l’investimento si intende effettuato, le agevolazioni di cui all’art. 4 spettano a partire da tale successivo periodo d’imposta.

Investimenti 2020: c’è una finestra fino al 30 aprile

Le disposizioni del decreto attuativo in commento si applicano in relazione agli investimenti effettuati successivamente al 1° gennaio 2020 ed a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019. Per gli investimenti effettuati nel corso dell’anno 2020, ai fini del riconoscimento dell’incentivo in capo al soggetto investitore, in deroga alla procedura ordinaria prevista, sarà prevista una finestra ad hoc nel periodo compreso tra il 1° marzo e il 30 aprile 2021 e l’impresa beneficiaria potrà quindi presentare l’istanza successivamente all’investimento stesso.

A cura di Michele Loizzo

CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO PER I SETTORI ECONOMICI INTERESSATI DALLE NUOVE MISURE RESTRITTIVE

Con l’art. 1 del D.L. n. 137/2020 (c.d. “Decreto Ristori”) il Governo ha introdotto un contributo a fondo perduto atto al sostegno degli operatori economici interessati dalle misure restrittive imposte con il precedente D.P.C.M. del 24.10.2020.

Destinatari della misura:

Come chiarito dal primo comma dello stesso articolo 1, il contributo è dedicato agli operatori economici che:

  • abbiano una partita IVA attiva alla data del 25.10.2020;
  • svolgano, quale attività prevalente, una delle attività afferenti ai codici ATECO individuati nell’Allegato 1 allo stesso Decreto.

Vi rientrano, pertanto, i bar, le pasticcerie, le gelaterie, i ristoranti, le palestre, i teatri, i cinema, gli alberghi e tutte le altre attività così individuate.

Condizioni per la concessione:

Il contributo non è condizionato all’ammontare dei ricavi e dei compensi afferenti al periodo d’imposta 2019. Non è dunque rilevante la soglia di Euro 5.000.000 individuata in relazione ad altre precedenti misure agevolative.

È invece condizionato alla registrazione di un calo del fatturato e dei corrispettivi. Difatti, il comma 3 dello stesso art. 1 dispone che il contributo a fondo perduto spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Tuttavia, come chiarito dal successivo comma 4, il contributo spetta anche in assenza di tale requisito laddove il richiedente abbia attivato la partita IVA a partire dal 1° gennaio 2019.

Erogazione del contributo:

I commi 5 e 6 dispongono in relazione all’erogazione del contributo de quo prevedendo che:

  • per i soggetti che abbiano già beneficiato del contributo a fondo perduto di cui all’art. 25 del D.L. n. 34/2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) e che non abbiano restituito il predetto ristoro, il contributo a fondo perduto di cui si tratta è corrisposto dall’Agenzia delle Entrate mediante accreditamento diretto sul conto corrente bancario o postale sul quale è stato erogato il precedente contributo;
  • per coloro che, invece, non abbiano presentato istanza di contributo a fondo perduto previsto dall’art. 25 del Decreto Rilancio, il contributo di cui si tratta è riconosciuto previa presentazione di apposita istanza esclusivamente mediante la procedura web e con il modello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 10 giugno 2020. Ad ogni modo, il contributo non spetta ai soggetti la cui partita IVA risulti cessata alla data di presentazione dell’istanza.

Misura dell’agevolazione:

Il comma 7 dell’art. 1 disciplina l’ammontare del contributo prevedendo che esso sia determinato distintamente a seconda che il soggetto beneficiario abbia o meno fruito del contributo a fondo perduto istituto dall’art. 25 del Decreto Rilancio. Più precisamente, è previsto che:

  • per coloro che abbiano già fruito del contributo di cui all’art. 25 del Decreto Rilancio, il contributo è determinato come quota percentuale, variabile tra il 100% ed il 400% del contributo già erogato ai sensi del citato art. 25;
  • per coloro che, invece, non abbiano presentato istanza di contributo a fondo perduto previsto dall’art. 25 del Decreto Rilancio, il contributo è determinato come quota percentuale, variabile tra il 100% ed il 400% del valore calcolato sulla base dei dati presenti nell’istanza da trasmettere, nonché dei criteri stabiliti dall’art. 25, commi 4, 5 e 6 del Decreto Rilancio. Inoltre, lo stesso comma 7 precisa che laddove l’ammontare dei ricavi o dei compensi ecceda Euro 5.000.000, il valore è calcolato applicando la percentuale del 10%.

Il comma 7 si chiude con il rinvio, per l’individuazione delle percentuali da applicare, al citato Allegato 1.

 

A cura di Michele Loizzo

Nuovo bando Macchinari innovativi

Cos’è
Il nuovo bando Macchinari innovativi sostiene la realizzazione, nei territori delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, di programmi di investimento diretti a consentire la trasformazione tecnologica e digitale dell’impresa ovvero a favorire la transizione del settore manifatturiero verso il paradigma dell’economia circolare.
La misura sostiene gli investimenti innovativi che, attraverso la trasformazione tecnologica e digitale dell’impresa mediante l’utilizzo delle tecnologie abilitanti afferenti il piano Impresa 4.0 e/o la transizione dell’impresa verso il paradigma dell’economia circolare, siano in grado di aumentare il livello di efficienza e di flessibilità dell’impresa nello svolgimento dell’attività economica, mediante l’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature strettamente funzionali alla realizzazione dei programmi di investimento, nonché programmi informatici e licenze correlati all’utilizzo dei predetti beni materiali.

A chi si rivolge
Possono beneficiare dell’agevolazione le micro, piccole e medie imprese
(PMI) che alla data di presentazione della domanda:

  • sono regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese, sono nel pieno e libero esercizio dei propri diritti e non sono in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali;
  • sono in regime di contabilità ordinaria e dispongono di almeno due bilanci approvati e depositati presso il Registro delle imprese, ovvero hanno presentato, nel caso di imprese individuali e società di persone, almeno due dichiarazioni dei redditi;
  • sono in regola con la normativa vigente in materia di edilizia ed urbanistica, del lavoro e della salvaguardia dell’ambiente, nonché con gli obblighi contributivi;
  • non hanno effettuato, nei due anni precedenti la presentazione della domanda, una delocalizzazione verso l’unità produttiva oggetto dell’investimento;
  • non rientrano tra i soggetti che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato, gli aiuti considerati illegali o incompatibili dalla Commissione europea;
  • non si trovano in condizioni tali da risultare imprese in difficoltà.

Attività economiche ammesse
Sono ammesse le attività manifatturiere, ad eccezione delle attività connesse ai seguenti settori:

  • siderurgia;
  • estrazione del carbone;
  • costruzione navale;
  • fabbricazione delle fibre sintetiche;
  • trasporti e relative infrastrutture;
  • produzione e distribuzione di energia, nonché delle relative infrastrutture.
    Sono inoltre ammesse le attività di servizi alle imprese elencate
    nell’allegato 3 del decreto ministeriale 30 ottobre 2019.

Cosa finanzia
I programmi di investimento ammissibili devono prevedere spese non inferiori a euro 400.000,00 e non superiori a euro 3.000.000,00. Nel caso di programmi presentati da reti d’impresa, la soglia minima può essere raggiunta mediante la sommatoria delle spese connesse ai singoli programmi di investimento proposti dai soggetti aderenti alla rete, a condizione che ciascun programma preveda
comunque spese ammissibili non inferiori a euro 200.000,00.

I beni oggetto del programma di investimento devono essere nuovi e riferiti alle immobilizzazioni materiali e immateriali, come definite agli articoli 2423 e seguenti del codice civile, che riguardano macchinari, impianti e attrezzature strettamente funzionali alla realizzazione dei programmi di investimento, nonché programmi informatici e licenze correlati all’utilizzo dei predetti beni materiali.

Le agevolazioni
Le agevolazioni sono concesse per una percentuale nominale calcolata. rispetto alle spese ammissibili pari al 75 %. Il mix di agevolazioni è articolato in relazione alla dimensione dell’impresa come segue:

  • per le imprese di micro e piccola dimensione, un contributo in conto impianti pari al 35% e un finanziamento agevolato pari al 40%;
  • per le imprese di media dimensione, un contributo in conto impianti pari al 25% e un finanziamento agevolato pari al 50%.
    Il finanziamento agevolato, che non è assistito da particolari forme di garanzia, deve essere restituito dall’impresa beneficiaria senza interessi in un periodo della durata massima di 7 anni a decorrere dalla data di erogazione dell’ultima quota a saldo delle agevolazioni.

Termini e modalità di presentazione delle istanze nell’ambito del primo sportello
Le domande di accesso alle agevolazioni, concesse mediante procedura valutativa a sportello di cui all’art. 5 d.lgs. n. 123/98, potranno essere presentate esclusivamente tramite procedura informatica.
L’iter di presentazione della domanda di accesso alle agevolazioni è articolato nelle seguenti fasi:
A) compilazione della domanda, a partire dalle ore 10.00 del 23 luglio 2020;
B) invio della domanda di accesso alle agevolazioni, a partire dalle ore 10.00 del 30 luglio 2020.
Le domande di agevolazione pervenute sono ammesse alla fase istruttoria sulla base dell’ordine cronologico giornaliero di presentazione.

A cura di Michele Loizzo

Nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – punti chiave della riforma

E’ dell’8 novembre scorso l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del “nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, col quale l’esecutivo pare aver adempiuto la delega conferitagli lo scorso ottobre 2017.

Il decreto legislativo in esame intende riformare la disciplina previgente, tenendo conto della normativa dell’Unione europea e, soprattutto, perseguendo un duplice ordine d’obiettivi, in particolare:

  • addivenire ad una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese interessate;
  • preservare la capacità imprenditoriale di quei soggetti che s’incamminino verso il fallimento della propria impresa per particolari circostanze.

In quest’ottica, molteplici sono le novità apportate e che sono ad oggi al vaglio delle Commissioni Parlamentari. Più precisamente, ripercorrendo il testo in esame, è possibile ravvisare:

  • forte semplificazione ed uniformazione delle discipline dei diversi riti speciali previsti in ambito concorsuale;
  • attribuzione d’attenzione prioritaria a tutte quelle proposte che constino soluzioni di superamento della crisi, permettendo così di conseguire l’obiettivo della continuità aziendale;
  • snellimento, in termini di costi e di durata, delle varie procedure concorsuali;
  • sostituzione del termine fallimento” con la più tenue espressione “liquidazione giudiziale”, aderendo così alla prassi europea e scongiurando, allo stesso tempo, l’altrimenti inevitabile disprezzo sociale, nonché personale, che connota il fallimento;
  • istituzione presso il Ministero della giustizia di un apposito albo di soggetti preposti all’espletamento, su incarico del tribunale, di funzioni di gestione o di controllo nell’ambito di procedure concorsuali, che siano però tassativamente dotati dei requisiti di professionalità, esperienza ed indipendenza quali conditio sine qua non si possa procedere all’iscrizione;
  • uniformazione delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con forme di tutela dell’occupazione e del reddito di lavoratori.

Questi sono i punti principali di una riforma che l’esecutivo, su spinta della legge delega emanata quasi un anno fa,  la l.155/2017, s’appresta ad ultimare nell’ottica dell’auspicato miglioramento del panorama delle crisi d’impresa.

Stefano Vito Pantaleo

Università – detrazioni d’imposta: base di calcolo e limiti quali-quantitativi

Come ogni anno, anche per questo è possibile portare in detrazione dall’IRPEF lorda parte delle spese sostenute ai fini dell’istruzione. In particolare, il legislatore ammette una detrazione del 19% delle spese a tal fine sostenute, in piena adesione al principio di cassa. Restano tuttavia ferme le soglie massime di detraibilità.

Conducendo una rapida rassegna delle principali spese in tal senso detraibili, si ravvisa:

  • spese universitarie: la detrazione viene ammessa nella misura del 19% delle spese occorse per la frequenza di corsi universitari presso università statali e non, corsi di perfezionamento e/o di specializzazione universitaria, tenuti presso università od istituti pubblici o privati, ancora, italiani o stranieri. Si noti, a tal proposito, che le spese possano essere ascrivibili sia all’anno in corso, che a più anni. Inoltre, ammesse in detrazione sono anche le spese per gli studenti c.d. “fuori corso”. Peraltro detraibili sono anche le tasse pagate per la frequenza di nuovi corsi istituiti dal D.p.R. 212/2005, ovvero quelli tenuti presso i Conservatori di Musica e gli Istituti musicali pareggiati. Resta invece esclusa la detraibilità delle tasse universitarie pagate per l’iscrizione presso istituti musicali privati, questo secondo quanto emerge da una risoluzione promanante dall’A.F. (Risoluzione n. 20/E/2011). Esaminando la fattispecie delle università private, si noti che per la detrazione per le spese sostenute per la frequenza di corsi presso università non statali, essa sarà calcolata sulla base di importi determinati nei limiti fissati dal Decreto MIUR. Difatti, per quelle NON statali, l’importo ammesso alla detrazione non può eccedere quello stabilito annualmente per ciascuna facoltà universitaria con Decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, tenendo conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali nelle diverse aree geografiche. Per quanto afferisce invece alle università telematiche, si osserva che le spese per i relativi corsi di laurea possano essere detratte, al pari di quelle per la frequenza di altre università non statali, avuto riguardo all’area tematica del corso e, per l’individuazione dell’area geografica, alla regione in cui ha sede legale l’università;
  • canoni di locazione per studenti universitarifuori sede”: il legislatore tributario rimette al contribuente la possibilità di portare in detrazione dall’IRPEF lorda un importo pari al 19% dei canoni frutto di contratti di locazione, stipulati o rinnovati dagli studenti ai sensi della l.431/1998, dei canoni relativi ai contratti di ospitalità, nonché quelli relativi agli atti di assegnazione in godimento o locazione, siano essi stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro o cooperative. Peraltro, ponendo puntuale attenzione al periodo d’imposta 2017, logicamente con focus sul Mod.730/2018 è bene notare che ai fini della detrazione sia indispensabile che lo studente sia iscritto ad un corso di laurea presso un’università:
  1. ubicata in un comune diverso da quello di residenza;
  2. distante da quest’ultimo almeno 100 chilometri (50 km per gli studenti residenti in zone montane o disagiate);
  3. il contratto di locazione abbia ad oggetto unità immobiliari situate nello stesso comune in cui ha sede l’università o in comuni limitrofi.

N.B. Per gli studenti all’estero: la detrazione spetta anche a studenti iscritti a un corso di laurea presso un’università sita oltre i confini nazionali, purché in uno degli stati dell’Unione Europea, ovvero in uno degli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo.

Limite di detraibilità dei canoni di locazione: la detrazione è determinata su un ammontare massimo dei canoni pagati in ciascun periodo di imposta pari a 2.633€. Tale soglia rappresenta il limite complessivo di spesa di cui può usufruire ciascun contribuente anche se ci si riferisce a più contratti intestati a più di un figlio.

A cura di Stefano Vito Pantaleo

ESCLUSO L’ABUSO DEL DIRITTO NELL’IPOTESI DI SCISSIONE SOCIETARIA CON CONSEGUENTE PASSAGGIO DELLE QUOTE

Risoluzione 97/E del 25 luglio 2017: la scissione societaria con passaggio delle quote non costituisce abuso del diritto.

E’ finalmente arrivata la pronuncia ufficiale dell’Agenzia delle Entrate su una questione alquanto delicata, che muovendo dalla disposizione del vecchio art.37 bis del D.p.R. 600/73 ha destato parecchi dubbi interpretativi.

In particolare, il contribuente italiano si è nel corso degli anni domandato se la scissione societaria, con conseguente passaggio delle quote ad un’altra società, configuri o meno un’ipotesi di violazione dell’art.10-bis della l.212/2000 (Statuto del contribuente).

L’Agenzia ha finalmente posto fine a questa diatriba rendendo pubblica la sua risoluzione n.97/E del 25/07/2017. Con questa risoluzione l’Agenzia ha innanzitutto inteso rispondere ad uno specifico interpello, presentatole ai sensi dell’art.11, lett. c, l.212/2000 e, in secondo luogo, porre soluzione, come anticipato, ad un luogo di scontri interpretativi di non poca rilevanza.

Il quesito presentato in interpello all’Agenzia concerne una S.p.A. ad attività sanitaria dapprima nell’ambito della medicina fisica e della riabilitazione, nonché della radiologia e della diagnostica per immagini e, successivamente, anche in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.). Detta società, con decreto della Giunta Regionale, ha conseguito l’accreditamento definitivo presso il Servizio Sanitario Regionale per diverse branche medicospecialistiche, successivamente ampliando l’offerta sanitaria con l’inclusione di ulteriori prestazioni rese in regime esclusivamente privatistico, la quale è peraltro in possesso di un compendio immobiliare, in parte, utilizzato dalla stessa e, in parte, locato a terzi. Premesso che la compagine sociale si articoli in tre soci-persone fisiche, titolari ciascuno di partecipazioni al capitale sociale pari al 35% e da una società per azioni, il cui capitale è sostanzialmente ripartito tra le medesime persone fisiche, che detiene azioni per il 30% del capitale sociale, intento della società è quello di realizzare un’operazione di scissione proporzionale a favore di una neocostituita S.r.l., la quale risulterebbe poi assegnataria del ramo immobiliare, con conseguente attribuzione dell’attività gestoria del compendio medesimo. Successivamente, alla scissione, farà seguito la cessione delle partecipazioni detenute nella scindenda, da parte dei relativi soci, alla neocostituita S.r.l.

L’istante propone la sua soluzione interpretativa asserendo che la prospettata ristrutturazione societaria non aggiri alcuna norma o principio dell’ordinamento tributario e, quindi, non sia finalizzata a conseguire vantaggi fiscali indebiti, in ragion del fatto “che la società scindenda proseguirà la sua attività caratteristica, mentre la beneficiaria svolgerà un’effettiva attività di gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare, che le sarà assegnato ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti in capo alla scindenda, e continuerà ad essere utilizzato in funzione dell’esercizio dell’attività di gestione di centri medici e di locazione a terzi.” La scissione, difatti, non determina effetti di suddivisione del patrimonio sociale tra i soci. Tali asserzioni risultano peraltro trovare riscontro anche in relazione alla cessione delle partecipazioni detenute nella società scissa, che sarà perfezionata a seguito della scissione parziale proporzionale della stessa,  premesso che l’art. 176, co.3, del D.p.R. 917/1986, stabilendo la non abusività del conferimento d’azienda, quale operazione fiscalmente neutrale, così come la scissione, seguito dalla cessione della partecipazione ricevuta in cambio, equipari la posizione dei soggetti che gestiscono l’azienda tramite società, i quali hanno la scelta tra la cessione dell’azienda e quella delle partecipazioni, alla 4 posizione dei soggetti che gestiscono l’azienda direttamente, e che detta scelta non hanno, se non appunto previo conferimento in società dell’azienda. Tale norma, dunque, esclude l’abusività/elusività di un’operazione societaria fiscalmente neutrale seguita dalla cessione delle partecipazioni, soggetta al regime di esenzione (parziale) della plusvalenza ai sensi dell’art. 87 dello stesso TUIR.

La contribuente medesima, inoltre, apporta quelle che sono le ragioni giustificatrici per le quali intende intraprendere tale operazione straordinaria, sostenendo che si tratti di valide ragioni extrafiscali non marginali, consentendo:

a) il miglioramento della gestione dell’attività caratteristica della società scindenda, attraverso lo snellimento della struttura aziendale;

b) la valorizzazione del patrimonio immobiliare che sarà assegnato alla società beneficiaria della scissione, la quale potrà intraprendere iniziative specifiche dirette allo sfruttamento dello stesso;

c) di dare seguito, nella maniera più lineare e celere, all’offerta che i soci dell’interpellante hanno ricevuto dalla S.r.l. neocostituita, interessata all’acquisto delle partecipazioni della società istante, con l’espressa esclusione del relativo compendio immobiliare, al fine di conseguire la relativa autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria e l’accreditamento presso il S.S.N., che costituisce l’esito di un processo di selezione complesso, disciplinato dal D.lgs 502/1992 e, pertanto, rappresenta il maggiore valore economico di una struttura sanitaria privata.

La risposta dell’Agenzia si apre con il rinvio all’art.10-bis, l.212/2000. In particolare, secondo il disposto del comma 1 dell’articolo 10-bis, l.212/2000, e successive modificazioni, recante la “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale“, affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, l’AF deve identificare e provare la contemporanea sussistenza di tre presupposti costitutivi:

a) la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;

b) l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”;

c) l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

L’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività. Il legislatore ha peraltro chiarito, al comma terzo dello stesso art.10-bis dello Statuto, che non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, muovano da “valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale”.

L’Agenzia, dunque, si pronuncia rievocando un principio già affermato, in ragion del quale a fronte dell’esistenza di alternative meno onerose, purché queste siano legittime, il contribuente può, altrettanto legittimamente, optare per quella che si palesi meno onerosa, realizzando un pertanto legittimo risparmio d’imposta.

Con la risoluzione, tuttavia, l’Agenzia pone anche attenzione all’ipotesi nella quale il trasferimento afferisca ai singoli beni. L’Agenzia asserisce a tal proposito che l’operazione di riorganizzazione aziendale debba comunque virare nella direzione dell’effettiva prosecuzione dell’attività imprenditoriale e “non debba trattarsi di società esclusivamente caratterizzate da liquidità, intangibles o immobili”.

Imposta di registro: con la risoluzione n. 97/E l’Agenzia delle entrate amplia il proprio raggio d’analisi affrontando un ulteriore tema. La risoluzione n.97/E pone anche attenzione all’imposta di registro, nella stessa ottica interpretativa propria dell’art.20, D.p.R. 131/1986. A tal proposito, l’AE rimarca che l’operazione di scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni, in questo caso della società scissa, non possa configurare ipotesi di abuso del diritto. Ciononostante, la stessa opera, di fatto, un rinvio ai recenti orientamenti della Cassazione, i quali, pur escludendo un’ipotetica elusività dell’articolo 20 del D.p.R. 131/1986, destano non poche perplessità. In particolare, nella risoluzione viene operato rinvio alla sentenza n. 6758/2017 della suprema Corte di Cassazione, con la quale, sostanzialmente, si è affermato che l’interprete possa qualificare alla stregua d’una cessione d’azienda anche una serie di atti plurimi allorquando, stando ai fatti, sia ravvisabile una causa unitaria di cessione aziendale.

 

A cura di Stefano Vito Pantaleo

ANATOCISMO: le novità apportate dalla delibera CICR 343/2016

Delibera CICR 343/2016: le novità in materia di anatocismo

Anatocismo: con il termine anatocismo, di derivazione ellenica, dal greco “ἀνατοκισμός anatokismós”, composto di “ανα”- «sopra, di nuovo» e τοκισμός «usura», s’intende la generazione di interessi su interessi, ovvero una capitalizzazione degli interessi scaduti in precedenza. In passato accadeva sovente che le banche inserissero un’apposita clausola contrattuale con la quale gli interessi debitori, ad esempio quelli sullo scoperto di conto corrente, venivano capitalizzati su base trimestrale, mentre quelli creditori, ad esempio quelli derivanti dal deposito di danaro sul conto corrente da parte del correntista, su base annuale.

Tale clausola è stata ritenuta nulla dalla suprema Corte di Cassazione di Roma nel 1999, in ragion del fatto che contrastasse con il termine minimo di capitalizzazione fissato nell’ordine dei sei mesi.

La normativa attualmente vigente impone che sia per gli interessi debitori che per quelli creditori si debba seguire la medesima periodicità, comunque non inferiore ad un anno.

Il fenomeno dell’anatocismo trova la sua disciplina, indistintamente per le banche e per gli intermediari finanziari, nell’art.1283 c.c., il quale sancisce che: “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.”

Dunque, ai sensi dell’art.1283 c.c., il fenomeno dell’anatocismo è vietato, fatta salva l’ipotesi in cui tale produzione di interessi su interessi tragga le proprie giustificazioni in un accordo tra le parti.

Recentemente la disciplina dell’anatocismo ha subito un’importante novellazione. Difatti, la legge 8 aprile 2016 n.49 ha revisionato il testo dell’art.120 del TUB.

 

Art.120, comma 2 del TUB (ante riforma)Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria prevedendo in ogni caso che:a)       Nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori;b)      Gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale. Art.120, comma 2 del TUB (post riforma)Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:a)        Nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b)      Gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2)il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo.

 

Risulta evidente, anche limitandosi ad una disamina del solo incipit, come il legislatore abbia inteso innanzitutto ribadire la delega al CICR per la definizione delle modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria.

Aderendo a tale delega, nelle vesti di presidente del CICR, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha varato il decreto n.343/2016.

 

Passando ad analizzare concretamente quelle che sono state le novità introdotte o, le modifiche espletate sul testo previgente, si può osservare:

  • Introduzione di un riferimento temporale: alla lettera a) dell’art.120, co.2 del TUB viene ribadito che la conteggio degli interessi, siano essi creditori o debitori, debba essere effettuata con la stessa periodicità. Tuttavia, il nuovo testo di legge prevede innanzitutto che tale contabilizzazione non possa realizzarsi se non quantomeno su base annuale. Inoltre, è stato introdotto un riferimento temporale per tale contabilizzazione, la quale deve realizzarsi al 31 dicembre di ogni anno;
  • Oggettivizzazione del campo d’applicazione del divieto di anatocismo: la novellata versione dell’art.120, comma 2, lett. B) del d.lgs 395/1993 appare più chiara rispetto alla previgente.

La precedente versione difatti stabilendo che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale” destava non poche perplessità.

L’assetto attuale appare invece circoscrivere l’ambito d’applicazione oggettivo del divieto d’anatocismo ai soli interessi debitori, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, che dovranno essere calcolati esclusivamente sulla sorte capitale, non potendo produrre interessi ulteriori, fatta eccezione per quelli moratori.

Si può asserire dunque che tale divieto riscontri applicazione in tutte le fattispecie di raccolta di risparmio e di esercizio del credito poste in essere con la clientela e dettagliatamente disciplinate ai sensi del titolo sesto del TUB,

  • Interessi di mora: la norma è stata altresì novellata introducendo una circostanza d’eccezione. In particolare si è fatta salva la produzione di interessi di mora rispetto al divieto di produzione di interessi corrispettivi sugli interessi debitori maturati. Resta difatti ferma, per quanto afferisce agli interessi di mora, l’applicabilità della mera disposizione civilistica di cui all’art.1224 c.c.

E’ lo stesso art.120, co.2, lett. b) a rendere esplicito come il campo d’applicazione sia quello degli interessi corrispettivi, esimendo in tal modo, da qualsivoglia applicabilità, la fattispecie degli interessi moratori.

  • Aperture di credito in conto corrente ed in conto pagamento e gli sconfinamenti – diversità di regime per gli interessi maturativi: in relazione agli interessi maturati per le aperture di credito regolate in conto corrente od in conto pagamento, ed in relazione agli sconfinamenti anche in assenza di affidamento, ovvero oltre il limite del fido, il nuovo testo dell’art.120, co.2. d.lgs del d.lgs 385/1993 propone una disciplina peculiare.

A tal proposito rileva quanto sancito dall’art.4 della delibera del CICR. In particolare esso afferma che debba tenersi conto delle aperture di credito regolate in conto corrente rotative, in ragione delle quali il cliente abbia facoltà di utilizzare e di ripristinare la disponibilità dell’affidamento medesimo ed a quelle in conto pagamento.

Si noti altresì che devono essere considerate rientranti nell’ambito di quest’ultima fattispecie anche le aperture di credito bancario ex. Art. 1842 c.c. la cui disponibilità sul conto sia il risultato di operazioni di anticipo su documenti o crediti.

E’ da questa precisazione della delibera del CICR che si può muovere la considerazione che si debba far rientrare nell’ambito applicativo del nuovo art.120 anche le operazioni di anticipo su fatture o di anticipazione SBF, qualora la medesime siano appunto aderenti allo schema dell’apertura di credito rotativa.

Quanto agli sconfinamenti, la delibera CICR precisa che debbano essere ritenuti tali sia quelli sui contratti di conto corrente, sia in presenza di un sconfinamento extrafido, che in assenza di un’apertura di credito.

Tutto ciò premesso, la peculiarità normativa risiede nel fatto che gli interessi debitori maturati vengano contabilizzati distintamente rispetto al capitale.

Sostanzialmente si viene a generare una netta discrepanza tra il capitale (il quale produrrà ancora interessi come contrattualmente predisposto) e gli interessi, i quali invece non rappresenteranno alcuna base per la produzione di ulteriori interessi.

Lapalissianamente dovrà essere assicurata l’esplicitazione di questa linea di demarcazione.

  • Quanto all’esigibilità degli interessi: si è stabilito che gli interessi debitori siano oggetto di conteggio al 31/12 di ciascun anno e che divengano esigibili in via automatica al 1° marzo dell’anno successivo a quello di maturazione, nonché al momento della definitiva chiusura del rapporto.

La svolta, la novellazione risiede proprio in questo. La banca difatti non potrà né richiedere, né addebitare immediatamente sul conto del cliente, l’importo del debito da interessi.

Viene previsto, al contrario, un termine legale per l’esigibilità degli interessi debitori, fissato al primo di marzo dell’anno seguente a quello di maturazione.

Questo costituisce palesemente un termine a favore del cliente.

Ciononostante è richiesto che al cliente sia riconosciuto un periodo minimo di trenta giorni dall’effettiva venuta a conoscenza dell’entità di tali interessi.

Per quanto concerne l’ipotesi patologica di mancato adempimento dell’obbligazione è da considerarsi legittima l’applicazione degli interessi di mora, quale risarcimento del danno a fronte di inadempimento ex art.1218 c.c.

E’ un’ipotesi questa di “mora ex re”, ovvero automaticamente operativa, senza che si renda necessaria la costituzione in mora da parte del creditore.

A porre tale automatismo è lo stesso codice civile, al suo art.1219, co.2, punto 3), ove è sancito che, tra gli altri casi, non sia necessaria la costituzione in mora del debitore “quando è scaduto il termine, se la prestazione dev’essere eseguita al domicilio del creditore”.

Ciò posto, non si può che ricondurre l’attenzione al disposto di cui all’art.1182, co.3, c.c.: “L’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza.”

E’ proprio dal combinato disposto di queste due ultime disposizioni civilistiche esaminate che si ravvisa l’automaticità della produzione degli interessi di mora, prescindendo dall’intenzionale costituzione in mora da parte del creditore.

In inosservanza, pertanto, del terzo comma dell’art.1182 c.c., scattano gli interessi moratori ex art.1224 c.c., il quale, rimembriamo, sancisce che: “Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.
Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori
.”

Appare tuttavia palese come si possano ravvisare avvisaglie di violazione del divieto di anatocismo di cui all’art.1283 c.c.

E’ da tener tuttavia presente che il nuovo comma 2 dell’art.120 del TUB, introduca deroga espressa a tal divieto in ambito bancario, per quanto afferisce agli interessi debitori, più precisamente esimendo gli interessi di mora dall’applicazione della regola generale in ragione della quale gli interessi debitori non possono produrre ulteriori interessi.

 

Ricollocando l’attenzione all’esigibilità degli interessi è da tener presente che nella sola ipotesi di conclusione definitiva del rapporto sia previsto un regime d’immediata esigibilità degli interessi.

In questa fattispecie il saldo concernente il capitale può generare interessi contrattuali con il solo limite già visto del divieto di produzione di ulteriori interessi sulla base di interessi già maturati.

  • Corresponsione degli interessi esigibili ed autorizzazione dell’addebito: nella lettera dell’art.120, co.2, lett. b), num.2 è rinvenibile la disposizione in forza della quale “il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili.”

E’ inoltre fatta apposita previsione che in tal fattispecie la somma addebitata venga computata ad incremento di capitale.”

Questa previsione, logicamente, appare tradursi nella possibilità, da parte delle banche naturalmente, di inserire un’apposita clausola autorizzativa.

Ciò posto, occorre chiedersi cosa accada ai contratti pendenti.

La delibera del CICR, al suo art.5, co.2 ha inteso escludere la possibilità d’applicazione dell’art.118 dello stesso TUB, in materia di modifica delle condizioni di contratto unilaterale, imponendo la previsione di un’apposita clausola autorizzativa all’addebito.

Quanto a quest’ultima, si richiede che venga apposta in forma scritta, ab substantiam, coordinatamente con il disposto di cui all’art.117, co.3, del TUB.

Inoltre, sempre allo scopo della maggior tutela del cliente, è stata introdotta un’aggiuntiva previsione in ragione della quale tale autorizzazione si ritiene revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia luogo.

Ulteriore precisazione va espletata in relazione ai conti cointestati, si ritiene che, nel caso di conto corrente a firme disgiunte, possa essere anche solo uno dei cointestatari a firmare il rilascio dell’autorizzazione.

Questa possibilità è resa in ragion del fatto che l’autorizzazione all’addebito sia qualificabile alla stregua di un mero ordine di pagamento di un debito con modalità diversa dal pagamento per cassa e, pertanto, possa essere considerata al pari degli strumenti di pagamento collegati al conto corrente.  Ad esempio un bonifico disposto per pagare il debito da interessi.

  • Imputazione dei pagamenti: l’art.2 della delibera CICR impone, peraltro, che l’imputazione dei pagamenti si realizzi in adesione al disposto dell’art.1194 c.c., ai sensi del quale “Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che alle spese, senza il consenso del creditore. Il pagamento fatto in conto capitale ed in conto interessi deve essere imputato prima agli interessi.”

Principio civilistico premesso, l’art.4, co.6, della delibera CICR, rammentiamo D.M. 343/2016, concede la possibilità di convenire nel contratto che, a decorrere dal momento in cui gli interessi risultino esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento, vengano utilizzati per estinguere il debito da interessi.

Inoltre, è sempre mantenuto possibile estinguere il debito da interessi impiegando fondi che siano già nella disponibilità del debitore.

Nulla quaestio in relazione all’applicabilità della compensazione ex art.1243 c.c., in quanto regola di carattere generale, non derogata dall’art.120, co.2, del TUB.

  • Adeguamento contrattuale: all’art.5, co.2 del DM è fatta apposita previsione dell’introduzione di clausole conformi a quanto dallo stesso art.5 disposto e dall’art.120, co.2 del TUB, mediante i meccanismi di cui agli artt. 118 e 126 sexies del TUB, specificando che tale adeguamento costituisca giustificato motivo.

In ogni caso, in conformità con quanto disposto dall’art.117, co.1, del TUB, è richiesto il consenso espresso del cliente sulla clausola con qui quest’ultimo autorizza l’intermediario ad addebitare gli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili.

A cura di Michele Loizzo e Stefano Vito Pantaleo